Oggi, come tanti italiani, abbiamo bevuto l’urina di Giulio Cesare! Si stima che il famoso condottiero romano, nei suoi 63 anni di vita, ha eliminato oltre trenta tonnellate di urina, quasi tutte finite teoricamente nel bacino del Mediterraneo. Qui, secondo alcuni studi, il ciclo di rimescolamento delle molecole dell’acqua si completa ogni duemila anni. Ecco spiegato l’incipit iniziale. In teoria in ogni litro d’acqua del Mediterraneo, e perché no, anche in quella che beviamo, è teoricamente presente qualche molecola dell’acqua contenuta nelle urine di Giulio Cesare. Si, perché l’acqua non si consuma, ma si ricicla e si riutilizza in un ciclo, di fatto, infinito. Pertanto l’acqua che cade ad esempio su un pascolo è usata prima dalle erbe per crescere, poi attraverso queste passa agli animali che pascolano e che la restituiscono con le feci e le urine, che concimano il terreno, in un rinnovato ciclo della stessa acqua. E’ di fatto un approccio discutibile quello di confondere i diversi passaggi di quest’acqua annoverandoli tutti sotto la voce “consumo” e sommando tra loro le diverse fasi del ciclo dell’acqua in un dato ecosistema. Inoltre, ragionando di acqua, è utile distinguerla secondo queste diverse tipologie: l’acqua blu delle falde e dei corpi idrici, acqua verde piovana e/o traspirata dal terreno durante la crescita delle colture e acqua grigia necessaria per diluire e depurare gli scarichi idrici di trasformazione.
L’impronta idrica
L’impronta idrica misura la quantità di acqua utilizzata per produrre ciascuno dei beni e servizi che utilizziamo. Può essere misurata per un singolo processo, come la coltivazione del riso, per un prodotto, come un paio di jeans, per il carburante che immettiamo nella nostra auto o per un’intera attività di un’impresa. In realtà però l’impronta idrica non parla di utilizzo, ma usa il termine consumo. (fonte Waterfootprint)
Le piante hanno bisogno di un’ingente quantità d’acqua per sopravvivere. Di tutta l’acqua che esse assorbono dal terreno, la stragrande maggioranza viene rilasciata nell’atmosfera sotto forma di vapore acqueo, a causa del processo noto come traspirazione; di conseguenza le piante devono continuamente rimpiazzare l’acqua che perdono con altra che assorbono dal terreno. Ciò causa la formazione di un continuo flusso di acqua che
va dal terreno all’atmosfera noto come continuum suolo-pianta-atmosfera, ma poi al terreno ritorna sotto forma di pioggia o neve.
Per ogni calcolo la giusta unità di misura
Nessuno utilizzerebbe i centimetri come unità di misura della distanza tra, ad esempio Brescia e Milano. Non sarebbe pratico e risulterebbe poco comprensibile, a meno che serva per estremizzare il concetto di distanza. E’ chiaro che, un conto è dire che tra le due città ci sono circa 100 km e un altro che ci siano 10.000.000 di centimetri! Il dato in centimetri può forse colpire l’uditore inesperto, ma è fuorviante nella sostanza.
E così affermare che servono circa 15.000 litri d’acqua per produrre un chilo di carne di manzo, è molto altisonante e serve per enfatizzare la teoria che per produrre carne si spreca troppa preziosa acqua. Il dato, calcolato in esattamente 15400 litri, deriva dal Water footprint (o Impronta Idrica) dello studioso olandese Arjen Hoekstra. E’ un metodo di calcolo nel quale si somma l’acqua che i bevono i bovini, più quella che serve per lavare le stalle, per irrigare le colture utilizzate per l’alimentazione, ma anche l’acqua che viene utilizzata per estrarre i minerali ferrosi necessari per realizzare gli attrezzi agricoli, le attrezzature utilizzate negli allevamenti e nei macelli e per fabbricare i mezzi (camion, trattori, rimorchi ecc.ecc.) che servono per trasportare i cereali, gli animali e la carne ed i silos per gli stoccaggi. Chiunque sia provvisto di buon senso capisce però che un calcolo così fatto è magari un interessante esercizio matematico, ma al lato pratico non considera alcuni importanti aspetti che comportano un enorme riduzione dei quantitativi di acqua effettivamente usata. Mette insieme numeri in assoluto, senza valutare quanto la risorsa acqua di fatto sia utilizzata comunque, che il fiume comunque trasporta l’acqua al mare, o che il tale mezzo di produzione, ad esempio il camion da trasporto, possa essere utilizzato per muovere una miriade di prodotti e non esclusivamente quelli destinati alla produzione di quel kg di carne di manzo.
Secondo invece il prof. Hoekstra, un foglio di carta A4 ha un’impronta idrica di 10 litri e un buon libro, a seconda del numero di pagine, ha comportato un consumo tra i 2.000 ed i 5.000 litri. Dobbiamo smettere anche di stampare i libri? L’approccio pare legato ai concetti di fondo espressi nella Ipotesi Gaia, per la quale l’Umanità rappresenta comunque un danno per il pianeta, il quale è assimilabile ad un grande organismo nel quale l’Uomo fa la parte del virus che porta solo morte. Se è vero che l’inquinamento dell’acqua, o del mare e degli oceani è un danno da evitare, tuttavia per quanto riguarda l’acqua, essa va considerata attraverso una logica di ciclo, piuttosto che di consumo assoluto. Anzi, la stessa parola “consumo” non è appropriata, ma è preferibile quella di “utilizzo”. Un esempio pratico: per irrigare una sola volta un campo di un ettaro di mais, si utilizzano circa 250.000 litri di acqua, moltiplicato per 3 irrigazioni, significa 750 mila litri. Nella realtà l’unità di misura corretta sono i metri cubi (mc), che quindi sono 750. Consumo? Niente affatto, e vediamo perché no.
Il ciclo dell’acqua e la produzione di carne
Lo denuncia Angela Morelli ne “L’acqua invisibile” , o il noto docu-film Cowspiracy Per produrre un chilogrammi di carne di manzo, secondo loro si sprecherebbero ben 15400 litri di acqua (15,4 mc). Proviamo a fare calcoli precisi per verificare questo numero.
Caso: alimentazione dal vitello al manzo con un peso vivo finale di 600 kg e un peso macellato e sezionato di 300 kg di carne (resa 50%)
TOTALE ESIGENZE IDRICHE: 208 t, pari a 207.897 litri
CARNE NETTA PRODOTTA: 300 kg
UTILIZZO DI ACQUA PER KG DI CARNE: 693 litri
693 litri di acqua per kg di carne è ben diverso dai 15.400. Come spiegare un così diversa valutazione sui consumi idrici?
Ad esempio, i 196 mc o tonnellate di acqua per irrigare una superficie complessiva di 0,33 ettari dove finiscono? Parte in falda, esattamente come una normale pioggia; parte evaporano formando poi nubi, pioggia e neve (il ciclo ricomincia), in minima parte in acqua che forma il mais, dalle radici alla parte aerea. Bene, concentriamoci su quest’ultima parte: nemmeno questa va persa. Infatti la radice rimane nel terreno e quindi non è a tutti gli effetti una perdita, mentre la parte aerea, supponiamo del mais, che poi viene trinciato verde e quindi mangiato dal bovino. Acqua persa? Nemmeno in questo caso, perché senza l’acqua contenuta nella parte vegetale che mangia, dovrebbe berne una parte identica come acqua di abbeverata. Quindi quei metri cubi di acqua sono andati d’avvero persi? Evidentemente NO.
In realtà però lo stesso conteggio della tabella di cui sopra, potrebbe essere per fino esagerato. Infatti, secondo la logica che l’acqua non va persa, quella per irrigazione, sia pure proveniente da un pozzo della zona, ricade sul terreno e nuovamente alimenta la medesima falda, esattamente come una normale pioggia, tranne quella quota parte che evapora in atmosfera, ma che a sua volta idealmente ricade sotto forma di precipitazione. Esclusa quindi questa cosa rimane? Di fatto solo quella che ha accumulato il bovino passando da 30 kg di peso alla nascita fino a 600 kg. Considerando un tenore di acqua dell’intero bovino pari al 90% di acqua, l’acqua contenuta netta nell’animale è pari a 540 litri. Quest’acqua a tutti gli effetti costituisce un’asportazione netta dal territorio dove è stato allevato l’animale, a meno che il bovino sia macellato in loco e lì interamente consumato dalla famiglia dell’allevatore. Secondo questa logica l’asportazione netta sarebbe di soli 540/300 = 1,80 litri di acqua per kg di carne (a voler ben vedere anche questa poca acqua asportata, in qualche modo ritorna comunque nel ciclo idrico, così come per il famoso comandante romano Cesare..). In riferimento al metodo di calcolo dell’Impronta Idrica, l’allevatore, ad esempio, non ha in realtà bevuto una quota significativa di acqua per produrre quel bovino, perché avrebbe bevuto lo stesso per campare e magari alleva contemporaneamente centinaia di capi, il trattore non è destinato solo a muovere prodotti per quel bovino, inoltre nell’esempio non c’è consumo di alimenti acquistati, la semente, poi e il concime necessari per 0,33 ettari di superficie coltivata per il bovino, non ha utilizzata che pochissima acqua per unità, e così via per altri fantasiosi mezzi e attrezzi utilizzati.
Ad ulteriore controprova di questo ragionamento è che di fatto in tutte le aree a maggior densità zootecnica, secondo i dati raccolti a livello globale attraverso lo Water Stress Index, parametro che esprime il rapporto tra acqua utilizzata e acqua disponibile tenendo conto della variabilità mensile e annuale delle precipitazioni, la presenza del bestiame non ha mai comportato un impoverimento delle riserve idriche sotterranee. Per l’Impronta Idrica invece, dopo secoli di allevamento, quei luoghi dovrebbero essere delle aree desertiche, ma così non è. Dove sbaglia allora il calcolo dell’impronta idrica? Perché calcola la quantità di acqua che viene utilizzata nei processi produttivi, la cosiddetta “acqua virtuale”, che, per la carne, include tantissimi fattori che però non hanno a che fare direttamente con la produzione effettiva, ma piuttosto ne sono a corollario. L’impronta idrica quindi è calcolata sommando l’acqua blu, cioè quella prelevata dalla falda o dai corpi idrici superficiali, l’acqua verde, cioè quella piovana evo-traspirata dal terreno durante la crescita delle colture, e l’acqua grigia, il volume d’acqua necessario a diluire e depurare gli scarichi idrici di produzione. Quindi non distingue nel calcolo dell’impronta idrica i tre tipi diversi di acqua, ma li somma come se avessero lo stesso impatto sulla disponibilità idrica, il che è un approccio sostanzialmente scorretto.Come fa notare il biologo e medico veterinario Agostino Macrì sulle pagine de La Stampa del 20 febbraio 2014, “se è possibile pensare che l’acqua blu, se non utilizzata, sarebbe immediatamente disponibile per altri scopi, lo stesso non si può dire per quella verde: è infatti più che discutibile che quest’ultima andrebbe interamente a ricaricare la falda, se non fosse usata”.
Fausto Cavalli